Per rispondere alle richieste del cliente occorrono digital strategies precise che lo orientino verso soluzioni e percorsi realmente efficaci.

 

Sono al telefono con un nuovo cliente di Roma. Vuole una mia opinione sul suo sito.
Lo osservo attentamente e nella mia mente comincio ad elencare: nessuna immagine, colore celeste, font Arial o Helvetica (non sono sicura…), logo non appropriato, non responsive quindi dal mio Smartphone ne vedo 1/4 per volta. Mi fermo qui, perchè lui di getto mi chiede “Allora, che ne pensi?”. Gli rispondo che non è importante, per ora, ciò che penso io e che gli manderò un elenco di siti che ho realizzato negli ultimi due anni…

Mi richiama dopo qualche giorno e la domanda è cambiata: “Ho visto i siti che mi hai mandato… puoi aiutarmi a modificare il mio?”. Rispondo che non è possibile. Non è una questione di sito, il suo funziona perfettamente.

– l’ho fatto solo un anno fa e l’ho pagato non poco.
– e cosa volevi?
– un sito.
– quindi, mi sembra che tu abbia avuto la corretta risposta alla tua richiesta.
– si, certo… ma…

Capisco che non sto rispondendo ma è importante che qualcosa, nel tipo di percezione che ha dell’argomento, cambi. Vediamo se ci riesco…

– Io non realizzo siti web, oggi non dovrebbe farlo nessuno, io mi occupo di comunicazione.
– Non fai siti web? Mi avevano detto di si… che vuol dire che ti occupi di comunicazione?
– Non hanno sbagliato a darti il mio numero, solo che per me un sito è il luogo dove raccontare ciò che sei attraverso ciò che fai. Questione di prospettive.
– Non capisco, io sono un architetto… e vorrei un sito che mi porti nuovi clienti.
– E allora hai bisogno di un sito realizzato per loro, non per te: struttura semplice e curata, informazioni facilmente reperibili, studio del colore, immagini belle, aperto ai social network…
– Intendi Facebook?
– Soprattutto…
– Mi hanno detto che su Facebook le persone possono scrivere quello che vogliono nella tua pagina, anche critiche… preferirei evitare.

Dal suo sito si capisce che preferisce evitare il rapporto con i suoi clienti e quest’ultima frase me lo conferma, ma stiamo arrivando al punto…

– Il punto è che il mio lavoro consiste nel creare un legame tra i tuoi clienti (attuali o futuri) e te. Costruire strade, in pratica, che permettano una relazione reciproca.
– Non è troppo complicato così? Io ho poco tempo e oggi è sempre più difficile con questa crisi.
– Le persone e quindi anche i tuoi futuri clienti sono sul web e con loro anche la possibilità di affrontare e superare questa crisi.
– Capisco, quindi devo andare a caccia di clienti sul web.

Ecco uno degli ostacoli più grossi da affrontare…

– No. Direi che saranno loro a darti la caccia e se ti muovi bene ti cattureranno, per tua fortuna…
– Scusa, ma non capisco… loro che danno la caccia a me?
– Non proprio, la metafora era la tua e l’ho usata. Diciamo che sono loro i nuovi protagonisti e che il tuo compito è quello di ascoltarli e cercare di rispondere qualche volta ai loro bisogni, spesso alle loro esigenze.
– E, quindi, cosa dobbiamo fare?

 

cervello digitale

Digital Brain

Il seguito della storia non è più così interessante. Quello che sta diventando importante, per noi che ci occupiamo di comunicazione, è cercare di spostare l’ottica del cliente da “devo risolvere un problema” a “devo affrontarlo“, il come può esplicitarsi in molti modi, tutti diversi a seconda dei casi e degli obiettivi.
Pensare di fare un sito o aprire una pagina su FB non può più essere pensata come un’azione “necessaria” per un’azienda, un professionista o un prodotto… ma una scelta precisa di dialogo in cui l’ascolto è la qualità più importante.
Questo è il motivo principale per cui oggi parliamo di Digital Strategies nel nostro lavoro di consulenza, ovvero di un percorso modulare che abbia obiettivi di business coerenti con la propria storia e compatibili con le persone.

Come ha scritto un amico pochi giorni fa: per conoscere le cose non devi guardarle, devi entrare nelle cose.

 

 

8 Risposte

  1. Ilaria

    Ci stai dicendo che è impossibile pensare il proprio lavoro scisso dal processo comunicativo? Che l’idea che si vuole far conoscere è strettamente legata alla persona che la deve realizzare pertanto, chi la vuole rendere visibile, non può prescindere da una partecipazione diretta al processo comunicativo? Il favoloso mondo della tecnologia, che io adoro, ha bisogno di incontrare chi dell’esperienza sa cosa farsene.

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    • Paola Cinti

      Esattamente così… la persona è al centro sempre, per me è il mio cliente che però deve pensarla allo stesso modo verso i suoi clienti, e la comunicazione è la via per farlo. L’esperienza quindi diventa saper entrare e vivere la relazione, costruendo continui percorsi.
      La cosa bella è che tutto sta avvenendo, per così dire, dal basso. Le persone sui Social Network comunicano in continuazione con diversi stili che si modificano semplicemente ascoltando gli altri, in un processo continuo che è strettamente influenzato dalla capacità di ascolto.
      Non si può pensare a tutto questo in modo esclusivamente tecnico, oggi serve a poco e domani probabilmente a nulla…

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  2. Ilaria

    Strano anche come si accetti di partecipare spontaneamente ai social network come se fosse la cosa più naturale del mondo e come sia invece percepita faticosa la partecipazione attiva a un piano di comunicazione preciso che riguarda il proprio lavoro e che non può prescindere dai social network.

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    • Paola Cinti

      Il fatto che sia una “cosa” ormai imprescindibile molti lo stanno accettando, per il “come” in realtà lo stiamo imparando tutti sul campo. Alcuni invece non vogliono proprio confrontarsi con questa realtà e un po’ li capisco, non è affatto semplice passare da un’idea di lavoro chiuso nelle proprie stanze ad una condivisa con tutte le persone (clienti, colleghi, collaboratori, fornitori, dipendenti, sconosciuti, …). Un’apertura così repentina spesso provoca di rimbalzo un maggiore arroccamento.
      In realtà bisogna non aver paura di sbagliare… e imparare.

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  3. Antonio

    Uno stimolo forte, per spingerci a consolidare il passaggio da una visione “tecnico-informatica” ormai vecchia e ampiamente superata (anche grazie a stimoli continui come quelli di Paola, con i suoi articoli e i suoi post) ad una visione più evoluta. Che non è nemmeno più quella soltanto di un approccio comunicativo-relazionale, quanto di un approccio strategico, di vera e propria strategia di comunicazione, che mette al punto di partenza l’ascolto. E quindi anche i modi per ascoltare. L’articolo, proprio nella sua breve densità, propone un cambio radicale, tutto ancora, almeno per me, da approfondire. Grazie, come al solito 🙂

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  4. Roberto Rizzardi

    Un vecchio proverbio arabo dice che dopo una trattativa entrambi i contraenti esibiscono un sorriso soddisfatto….. e che uno dei due, perciò, mente spudoratamente.
    Questa visione, sapida e popolare, pone in genere il compratore dalla parte di chi non ha ragioni di sorridere.
    Ed è effettivamente così quando il venditore opera in regime di monopolio o di cartello, oppure quando chi compra ha una certa urgenza o scarsa capacità di esaminare criticamente l’offerta.
    Le cose cambiano quando, in situazione di ristagno economico, gli acquisti vengono maggiormente meditati (e spesso rinviati), come nell’attuale congiuntura. Se a questa poi aggiungiamo l’evoluzione della tipologia di rapporto che i moderni media consentono, allora la vedo dura per chi, come l’architetto qui chiamato in causa, non intende schiodarsi da atteggiamenti datati e dalla confortevole situazione di chi si tiene tutte le briscole in mano.
    Il fatto è che queste briscole non sono più esclusivamente in mano sua e, d’altra parte e dati i tempi, appartenere ad una gilda o ad una corporazione non è più sufficiente a presidiare antichi privilegi. La biunivocità del rapporto che viene ad instaurarsi consiglia di aggiungere alla propria specifica competenza professionale una maggiore capacità di ascolto e di personalizzazione dell’offerta, di smettere di essere un mero fornitore di prodotti e servizi divenendo più simile ad un consulente. Una volta compreso questo, come si può omettere di curare la capacità di trasmettere questa disponibilità? Come si può desiderare di essere ancora il ragno al centro di una tela piuttosto che una ronzante ed operosa ape?

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    • Paola Cinti

      Splendido commento Roberto! E nell’essere stata più di una volta scippata della dimensione autorale di questo blog, con i vostri commenti, non mi rimane che confermare la sensazione che oggi l’unica relazione che funzioni è quella di stimolo-reazione in una spirale virtuosa di crescita e conoscenza continue… 🙂

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