Da grande appassionata di Cinema Muto non potevo ignorare un film dedicato alla parola, soprattutto perché l’arrivo del sonoro ha costituito per la Settima Arte la sua prima vera grande crisi.

Il discorso del re, uscito nel 2010 con la regia di Tom Hooper e tratto una storia vera, è uno di quei film che consiglierei a tutti indistintamente, per quella sua caratteristica di essere semplice e complesso allo stesso tempo, che permette ad ognuno di uscirne con qualcosa di interessante su cui riflettere.

Duca di York e secondogenito di re Giorgio V, Bertie è afflitto dall’infanzia da una grave forma di balbuzie che gli aliena la considerazione del padre, il favore della corte e l’affetto del popolo inglese. Figlio di un padre anaffettivo e padre affettuoso di Elisabetta (futura Elisabetta II) e Margaret, Bertie è costretto suo malgrado a parlare in pubblico e dentro i microfoni della radio, medium di successo degli anni Trenta. Sostituito il corpo con la viva voce, il Duca di York deve rieducare la balbuzie, buttare fuori le parole e trovare una voce. Lo soccorrono la devozione di Lady Lyon, sua premurosa consorte, e le tecniche poco convenzionali di Lionel Logue, logopedista di origine australiana. Tra spasmi, rilassamenti muscolari, tempi di uscita e articolazioni più o meno perfette, Bertie scalzerà il fratello “regneggiante”, salirà al trono col nome di Giorgio VI e troverà la corretta fonazione dentro il suo discorso più bello. Quello che ispirerà la sua nazione guidandola contro la Germania nazista.

Fedele all’idea che il cinema, per definirsi arte, debba essere capace di raccontare ben più della realtà, mi trovo costretta a spogliare il film di ogni sua radice storica, per andare a guardare cosa c’è dentro che occhio umano non possa cogliere così facilmente.

il-discorso-del-reIl discorso del re è tutto fuorché reale, così profondamente incentrato su dinamiche umane. Senza alcun clamore o fasto, costringe il mondo regale a scendere dal trono per confrontarsi con una delle realizzazioni umane più emozionanti: il rapporto di cura tra un’inconsueto terapista e un altrettanto particolarissimo paziente. Tra i due il bene prezioso della parola.

Tutto il film si dipana intorno al rapporto tra questi due uomini, la distanza tra loro e la possibilità e speranza che questa distanza possa colmarsi. La forza del messaggio spoglia immediatamente il film di ogni suo contesto e tiene in primo piano quel fluido che passa talvolta tra due persone e che permette ad ognuno di noi di essere influenzato dalla bellezza e dalla potenza dell’altro. Storia di un uomo che dona prima di tutto se stesso, senza perdere nulla, in favore di chi ha perso qualcosa. Un percorso non facile che mette in crisi quegli assetti interni che ognuno di noi stupidamente protegge, pur sapendo quanto ci possano essere di ostacolo e che richiede la potenza dell’altro per ricreare nuove alleanze che ci traghettino verso un’immagine più nuova, più valida.

Questo film è prima di tutto il racconto di un percorso possibile di rapporto verso una bellezza maggiore. Un film necessario come il pane in questo momento per spostare l’asse da ciò che succede a ciò che è importante.


 

Il discorso del Re – Trailer ufficiale:

 

8 Risposte

  1. Antonio

    Grazie Paola! Questo tuo commento è commovente. Non ho visto il film, ma sento che è una delle prime cose che dovrei fare nei prossimi giorni.
    Non voglio rovinare con mie parole il tuo post, ma una tua frase ci tengo a sottolineare:”spostare l’asse da ciò che succede a ciò che è importante”.
    Poche parole per ricordarci della pochezza della cronaca rispetto a movimenti ben più importanti, che sono sì quelli della storia, ma soprattutto quelli dei rapporti profondi tra le persone. Se solo ce lo ricordassimo più spesso….ciò che succede e ciò che è importante…. Grazie Paola.

    Rispondi
  2. Antonio

    ….L’ho visto 🙂 un film al di là delle aspettative e di ogni classificazione. Un film che racconta della potenza della relazione interumana, del superamento dei ruoli e delle identità sociali, un film sulla potenza dell’ “esserci”, e sul coraggio dello “starci”, accettando il rischio di un rapporto non perfettamente codificato dalla norma sociale.
    Un film sulla resistenza alla cura (quante volte il futuro re rinuncia ad andare avanti, pur con la consapevolezza che sta facendo passi in avanti…)
    Ma forse, soprattutto, un film sulla certezza di sè, raccontata splendidamente dalla figura del logopedista, che senza un titolo ufficiale, ma con studio ed esperienza, dice di una certezza di sè, dei suoi metodi, dei risultati.
    Ed è la storia di un rapporto, che nato come rapporto di cura della parola, diventa poi amicizia.
    La storia di un rapporto e di “affetti” profondi, non edulcorati dal “senso comune”.
    Grazie, per avermi spinto a vederlo in fretta. 🙂

    Rispondi
  3. Antonio

    E’ ora di pranzo, leggo le news sul web, e riprendo le ultime due righe del tuo articolo. Ciò che dici mi sembra fondamentale in questo momento: “Un film necessario come il pane in questo momento per spostare l’asse da ciò che succede a ciò che è importante”.
    Spostare questo asse e andare alla ricerca di ciò che è importante assume ora una doppia rilevanza: è prima di tutto un atto per la difesa della propria salute mentale, ed è poi anche un atto politico di rifiuto dell’ ”ovvio” e dello scontato che ci viene propinato, e di “resistenza” pura.
    …ciò che è importante…..

    Rispondi
    • Paola Cinti

      La realtà è indubbiamente troppo “difficile” da digerire ora e l’unica speranza rimane nell’uomo e in tutte le sua infinite possibilità… c’è un prima e un dopo.

      Rispondi
  4. Francesco Fedele

    Grazie Paola,
    la tua sollecitazione mi ha spinto ad accelerare la visione del film.
    Meraviglioso, con una serie di spunti sociali e personali che meriterebbero un approfondimento scena per scena. Ho amato questo film per l’ottimismo del logopedista, la determinazione non invasiva ed accogliente della moglie, per la tenerezza del re, per il senso di possibilità di cui era permeato, per la leggerezza con cui tutto è stato sviluppato. E’ una lezione di crescita reciproca ed un esempio di come se ti occupi della persona il ruolo può diventare un contorno, e le cose sono più vere.
    Concordo su quanto la sua visione può essere importante per spostare l’asse da ciò che succede a ciò che è importante. Grazie.

    Rispondi
    • Paola Cinti

      Grazie a te per esserti fermato qui a dirmelo 🙂
      Abbiamo sempre più bisogno di nutrire quella parte di noi stessi che non deve per forza fare qualcosa, ma ha bisogno di stimoli per pensare meglio e soprattutto più piacevolmente. In questo senso questo film è uno splendido “regalo”.

      Rispondi
      • Antonio

        La tua risposta a Francesco è stata l’ultima cosa che ho letto prima di dormire ieri sera. Al risveglio stamani ho pensato che hai scritto 4 righe totalmente e profondamente rivoluzionarie(“…nutrire quella parte di noi stessi che non deve per forza fare qualcosa, ma ha bisogno di stimoli per pensare meglio e soprattutto più piacevolmente”) rispetto a quanto è non solo “senso comune” ma addirittura programma “politico”: il “fare”. E’ una proposizione sfidante, rivoluzionaria, impegnativa, per ciascuno di noi, in ogni momento, fermarsi per non fare ma per meglio pensare. Iniziamo una settimana di riflessioni impegnative. Grazie.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata