Sulla parola innovazione tendiamo a proiettare molte istanze: curiosità, speranza ma anche timore e sospetto. Il suo suono ha la magia del canto delle sirene, ma sembra nasconderne anche le insidie… cosa le manca per poter articolare tutte le sue potenzialità?

 

Per capirlo dobbiamo sottrarla alla liaison dangereuse che negli ultimi decenni la lega alla parola tecnologia, in modo da restituirle quella libertà dell’immaginario che non ama le relazioni troppo oggettuali. Ora che i suoi contorni si fanno più indefiniti possiamo accompagnarla ad altre parole come cambiamento, trasformazione, futuro anch’esse dall’immagine indefinita, ed è in un panorama come questo che possiamo abitare le prime due istanze: curiosità e speranza.

A questo punto gli ingredienti necessari al pensiero ci sarebbero tutti, ma… l’insufficienza rimane. Denuncia di un’assenza che però è una necessità: il movimento.

Non quello fisico, sostanzialmente indistinguibile tra quello di un cavallo che corre nella prateria, quello di una nuvola spinta dai venti oppure in un uomo che attraversa una strada. Un movimento invisibile che è proprio dell’uomo e che lo rende diverso e unico.

Quindi, cosa è indispensabile alla parola innovazione perché dia al nostro “Arco” la direzione, la potenza e la sicurezza di colpire al centro del bersaglio? Ma soprattutto, di cosa abbiamo bisogno per dare un senso al nostro fare?

 

La parola innovazione deve fare i conti con l’idea di progresso.

Il termine progresso (dal latino progredior, andare avanti) indica genericamente lo sviluppo dell’uomo nella sua storia concepita come un lineare procedere, dove i miglioramenti, presupposti come prevalenti rispetto alle interruzioni e agli arretramenti, si accumulano per determinare condizioni positivamente avanzate, materiali e spirituali, della vita umana. [fonte Wikipedia]

L’innovazione, sottratta agli obblighi di interrogarsi se è anche progresso umano, ha un movimento circolare che per sua natura non ha direzione e quindi non ha futuro. Per quanto bella è destinata ad assomigliare ad una stella cometa e come tale ad essere solo di passaggio nei cieli della storia umana.

 

6 Risposte

  1. Antonio

    Breve, denso, con un “peso specifico” alto. E, delicatamente, rivoluzionario. Perchè con parole piane “smonta” inesorabilmente gli stereotipi e gli impliciti automaticamente collegati alla parola “innovazione”. Già nel titolo. Il coraggio associare la nuova deità, “l’innovazione” alla parola “insufficienza”. Come dire che questo totem che attraversa ogni parola scritta sul mondo, – della politica, dell’organizzazione, del pensiero – da solo non basta. E riportare alla nostra attenzione l’idea di progresso, umano e non tecnologico, un progresso che è squisitamente umano, fondato sul recupero di un senso profondo dell’agire. Superamento del ripetersi circolare.
    “Direzione, potenza, sicurezza di colpire al centro”. Una sfida per ciascuno, nel recupero di un’integrazione forte tra pensiero e prassi, senza il tarlo del dubbio razionale, espressione talvolta solo di cecità.
    Grazie.

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    • Paola Cinti

      Il “superamento del ripetersi circolare” oggi richiede ancora più attenzione proprio perché l’innovazione ti da il senso della direzione in avanti perché propone sempre realtà che sono migliori di quelle precedenti… comprendere quali di queste e come possano essere progresso richiede ben altra intelligenza.
      Grazie Antonio.

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  2. Gianfranco Personé

    Paola riesci sempre a coinvolgermi nelle tue “provocazioni”, ma quanta carne al fuoco hai messo questa volta?. Innovazione è un termine sicuramente “affascinante”, ma “ambiguo” anche se tu hai tentato di circoscrivere al massimo. Il suo uso è principalmente legato alla dimensione applicativa di un’invenzione o di una scoperta (riferimento tecnologico). Uscendo fuori dall’applicazione di un ”prodotto” che garantisca risultati o benefici maggiori, può anche riguardare un processo (organizzativo, commerciale, politico, ecc.), ma entrambi ( prodotto o processo) dovrebbero portare un ”progresso” sociale, anche se a volte non sempre efficaci e migliorativi rispetto a ciò che vanno ad innovare. In questo caso il “cambiamento” o “trasformazione” (altre parole ambigue) comportano invece un peggioramento delle condizioni sociali, in questo caso non è innovazione, ma è regresso (è questa la circolarità?!). La parola “futuro” è una parola diversa, altra, rimanda a qualcosa che deve avvenire, noi lo pensiamo sempre “radioso”, ma la storia dell’uomo nel suo divenire ci ha abituato all’alternanza di periodi più o meno bui, senza una logica di continuità. Cos’è che fa la differenza dici tu: il “movimento”! Non un movimento qualsiasi, ma un “mutamento” (le due parole hanno una radice comune) verso una precisa direzione, un obiettivo da raggiungere. E qui casca l’asino, perché entra in gioco l’ “etica”, cioè il desiderio sincero e forte di servire l’uomo, ovvero produrre qualcosa di buono e di bello, non per se stessi o per pochi intimi, ma per tutti.
    La sociologia del mutamento socioculturale definisce la società stessa come un reticolo, una rete interconnessa, plasmabile, di azioni sociali; il mutamento, alla luce di questo, appare essere una differenza di variazione del sistema causata da azioni sociali, una variazione che avviene in un campo, o ambito, definibile e distinguibile. Tali azioni sono consciamente e inconsciamente supportate dai “valori” perché noi siamo esseri culturali, in grado di prendere posizioni nei confronti del mondo e di attribuire ad esso un senso. Inevitabilmente gli uomini prenderanno sempre posizione di fronte alla realtà in base alla sfera degli ideali, cioè dei valori etici, estetici, religiosi e tutte le idee di “valore” non necessariamente omogenee tra loro in quanto storicamente condizionate. Quindi finché l’utopia non si trasforma in realtà (qualcosa di bello e di buono per tutti), ovvero passare dall’ “io” al “noi”, l’illusione dell’innovazione sarà “circolare”, in un lento o veloce “in progress”, asseconda dei periodi e dei luoghi, anche in un mondo globalizzato come il nostro.

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    • Paola Cinti

      Concordo Gianfranco, l’unica possibilità di vedere meglio ciò che sta succedendo è guardarlo con un’ottica temporale molto più ampia di quell’eterno presente a cui ci obbliga l’innovazione tecnologica.
      Il semplice porsi ad una maggiore distanza ci permettere di cercare quei segnali, che possono dirci se è progresso e che tu citi nell’articolo: il noi, l’etica, quali valori sono in gioco.
      Nella storia dell’uomo l’innovazione tecnologica è stata sempre solo una parte del progresso, pensiamo al fuoco o al microscopio, che invece è molto più connesso all’uomo che agli oggetti: il pensiero, il sentire, l’espressione, la libertà, gli affetti.

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  3. Roberto Rizzardi

    Una riflessione affascinante, come sempre, e che apre infinite praterie, per usare una formula non troppo originale.
    Io credo che “innovazione” e “progresso” non siano sinonimi l’una dell’altro, e se sono parenti allora lo sono in grado abbastanza lasco. Parenti acquisiti forse?
    Innovazione significa infatti implementazione di qualcosa di nuovo, non necessariamente positivo, e spesso destabilizzante, ragione per la quale è spesso avversata e rigettata.
    Progresso porta con sé l’idea di innovazione, ma con significato aggiuntivo di miglioramento, anche se questa sua qualità risulta spesso indigesta, in quanto anch’essa destabilizzante, a chi ha rendite da difendere o, semplicemente, detesta doversi riorganizzare.
    Viene poi facile sovrapporre il concetto dell’innovazione a quello di tecnologia perché in effetti le due cose viaggiano di conserva, essendo la seconda alla costante ricerca di affinamenti e votata al superamento di problemi, inefficienze e potenzialità da esprimere. Spesso ovviamente questi passi avanti sono in funzione di interessi materiali e creano più problemi di quanti ne risolvano, ed è qui la ragione della piu evidente difformità dal concetto di progresso.
    Anche se spesso si è tentati di definire “progresso” una innovazione parziale e limitata, è solo se viene espresso un miglioramento in senso globale che la sovrapposizione diventa lecita, altrimenti è solo cambiamento, magari novità, ma non certamente “progresso”.
    In senso lato tutti e due i termini implicano il movimento, e credo di capire che quello che Paola definisce circolarità sia la mancanza di una direzione preferenziale dell’innovazione, che tocca i processi, ma non necessariamente le consapevolezze, e che dunque può anche “tornare indietro” e distruggere.
    Siccome anche il progresso può essere faticoso e non compreso, ecco che il concetto di movimento prende quei connotati che inducono molti ad avversarlo come pericoloso e indesiderabile.
    Stare fermi però è un’illusione, se non riesci ad avanzare non puoi che arretrare perché i pensieri, non meno delle cose, si consumano ed hanno bisogno di manutenzione e rigenerazione.
    Dunque trovo particolarmente azzeccata la conclusione di Paola sulla necessità che i due termini, progresso ed innovazione, facciano i conti l’un con l’altro

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    • Paola Cinti

      Grazie Roberto, hai colto in pieno e esplicitato meglio di me il senso di queste due parole: innovazione e progresso. La prima non ha etica o morale, come l’invenzione della bomba atomica ci ha insegnato, a differenza della seconda che ha il suo senso a partire dall’etimologia (pro=avanti – gresso=passo).
      Il post per me ha oggi un’importanza particolare, proprio per l’uso che si fa dei due termini: abusato il primo rispetto al secondo. Un’involontaria sincerità? Un tentativo di dare alla parola innovazione un significato e un senso che non ha? O il sintomo di una mancanza di profondità del nostro vedere?
      Di una cosa sono sicura, preferire il rapporto con la realtà materiale rispetto a quello con gli esseri umani, ti fa adorare la prima parola e dimenticare la seconda. Esperienza personale 🙂

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