La comunicazione è come un’impronta digitale: diversa per ognuno di noi, lascia traccia di sé in ogni cosa che facciamo e ovunque andiamo. Il passaggio dai mezzi di comunicazione ad una via (televisione, giornali, radio) a quelli a due vie (social network, blog, forum, etc), ha reso attivamente partecipi le persone nel dialogo con aziende, brand, personaggi pubblici, politica e società. Un passaggio spesso studiato in termini quantitativi (Big Data), ma mai abbastanza indagato in termini di sviluppo qualitativo. Oggi la nostra presenza sul web ci rende, non solo spettatori attivi e partecipi, ma trasforma ognuno di noi in un media che comunica e che ha un proprio pubblico. Ma come comunichiamo e soprattutto cosa? E cosa vedono coloro che ci leggono ogni giorno? Sia che si tratti di testo, di fotografia o di un semplice aggiornamento su Facebook…ciò che arriva ai sensi – sempre più attenti – dei naviganti del web, sono linee curve, distanze precise e cicatrici, quelle che distinguono in modo univoco ogni impronta digitale e che lasciamo in tutto ciò che tocchiamo. La comunicazione digitale è diventata una vera e propria impronta digitale. Le bacheche di Facebook ne sono un esempio lampante. Su questo infinito tapis roulant, lasciamo ogni giorno innumerevoli segni che, come briciole, indicano la strada per arrivare a noi. Esserne consapevoli o meno è del tutto ininfluente, ma uno sguardo obiettivo al nostro profilo personale può fornirci molte indicazioni su quello che ogni giorno diciamo di noi e come, molto al di là delle semplici informazioni. Una serie infinita di complessi autoritratti: potenzialmente visibili a tutto il mondo, differenti l’uno dall’altro come le impronte digitali, la calligrafia, il volto, il suono della voce, il movimento. Insomma, ritratti umani. La comunicazione digitale, regina del nostro tempo, libera attraverso la nostra diversità la sua strada e diventa imprendibile per qualsiasi algoritmo escogitato per decodificare chi siamo e cosa vogliamo. L’antidoto a quel veleno che aspira a renderci elementi di insiemi e di sottoinsiemi, è la complessità e diversità di ognuno di noi. La nostra unicità e creatività. I famas avevano deciso una volta di iniziare la fabbricazione di tubi per pompe, ed avevano assunto molti cronopios per il settore magazzino e avvolgimento. Appena i cronopios furono al loro posto di lavoro, gioia immensa. C’erano tubi verdi, rossi, blu, gialli e viola. Erano trasparenti e collaudandoli si vedeva scorrervi l’acqua dentro con tutte le bollicine e a volte qualche insetto sbalordito. I cronopios lanciarono altissime grida e volevano ballare tregua e ballare provala invece di lavorare. I famas andarono su tutte le furie e cominciarono ad applicare gli articoli 21, 22 e 23 del regolamento interno. Onde evitare il ripetersi di siffatte incresciose infrazioni. Siccome i famas sono molto sprovveduti, i cronopios attesero il verificarsi di circostanze favorevoli e quindi caricarono un gran camion di tubi. Quando incontravano una bambina, tagliavano un bel pezzo di tubo blu perché ci potesse giocare al salto del tubo. Così, ad ogni angolo di strada, si videro sgorgare bellissime bollicine blu con una bambina dentro simile a uno scoiattolo nella sua gabbietta. Ai genitori della bambina veniva un solo desiderio, quello di portarle via il tubo per innaffiare il giardino, ma si scoprì che gli astuti cronopios li avevano bucati in modo tale che l’acqua si spezzettava e così non erano utilizzabili. Alla fine, i genitori si stancavano e la bambina correva in strada e saltava e saltava. Con i tubi gialli i cronopios inghirlandarono molti monumenti, e con quelli verdi tesero delle trappole secondo l’uso africano nel bel mezzo di un roseto, per avere la soddisfazione di vedervi cadere le speranze una ad una. Tutto intorno alle speranze cadute in trappola i cronopios ballavano tregua e ballavano provala, e le speranze li redarguivano per quel loro gesto, dicendo così: – Crudeli cronopios cruenti. Crudeli! I cronopios, incapaci di voler male a chicchessia e specialmente alle speranze, le aiutavano a rialzarsi e regalavano loro pezzi di tubi rossi. Così le speranze poterono tornare a casa e realizzare la loro più ardente aspirazione: innaffiare giardini verdi con tubi rossi. I famas chiusero la fabbrica e diedero un banchetto a base di discorsi funebri con camerieri che servivano pesce tra grandi sospiri. Nessun cronopio fu invitato e, delle speranze, solo quelle che non erano cadute nella trappola del roseto perché le altre se ne stavano contente con il loro pezzo di tubo rosso, e i famas erano arrabbiati con quelle speranze . [Tratto da: Storie di cronopios e di famas, Julio Cortázar] Ma la comunicazione, sottraendosi al dictat dei metodi, costruisce il proprio paradosso rendendo più complesso il nostro approccio. Libera dai binari dei sistemi meccanici di interpretazione, impegna ognuno di noi a considerarla, prima di ogni altra cosa, come una delle tante possibili rappresentazioni di ciò che siamo. La comunicazione in ambito professionale La comunicazione professionale non differisce molto da quella personale. Parlare oggi della nostra attività richiede il coraggio e la capacità di parlare di noi stessi, prima ancora di ciò che facciamo. E i social network sono la nostra migliore palestra. A prescindere dalle idee che ognuno di noi matura quando decide di farsi fare un logo, un sito, una locandina, fino al semplice biglietto di auguri, niente è così determinante oggi quanto l’unicità. Un risultato che è il prodotto della fusione tra due realtà uniche: quella del cliente e quella del professionista interpellato. Una realizzazione in cui due singolarità ne producono una terza, risultato di una relazione difficilmente raccontabile ma necessaria per un buon risultato. Finito il tempo in cui i giudizi spaziavano tra “è bello” o “è brutto”, nel migliore dei casi “mi piace” o “non mi piace”, dobbiamo dare per sottointeso che, ogni elemento del processo di comunicazione che decideremo di utilizzare necessita di una marcia in più: deve essere in grado di raccontare qualcosa di noi. E lo farà comunque, anche se sbaglieremo. A differenza di soli dieci anni fa, la comunicazione digitale è un territorio a disposizione di chiunque e non più esclusivo appannaggio di grandi marchi. A fare la differenza un elemento base: la capacità di esprimere la nostra unicità, investendo su di essa. Un caso di intelligenza comunicativa Recentemente Scriptaimago, la Web Agency con cui lavoro, ha ricevuto la richiesta di un logo e di un sito da parte di una professionista del settore estetico, con un’attività in provincia di Terni. Una piccola attività, incastonata in una piccola realtà geografica. E qui smettiamo di usare l’aggettivo “piccolo” per cominciare a pensare in grande o, ancor meglio, in termini di singolarità. Per la sua attività, Simona Napolitano, ha scelto di percorrere la strada di valorizzazione della sua offerta cominciando con l’investire in grafica, immagini, colori, font. Il logo e il sito sono stati pensati con uno stile Modern Vintage, coniugando passato e presente con un risultato decisamente piacevole e che si fa ricordare. A questo punto, non ci rimane che confrontare questa realtà con quella di molti brand blasonati, notare la differenza di attenzione nel rapporto con i propri clienti e ammettere che oggi è possibile – per chiunque – competere alla pari, partendo da una comunicazione originale e curata. Dipende da noi. 2 Risposte Antonio Maggio 3, 2016 ….alcune parole dell’articolo con un suono particolarmente armonico e potente insieme…. “linee curve, distanze precise, cicatrici. ….la nostra comunicazione sul web come un’impronta, un’impronta digitale. …”di più, autoritratti, ritratti umani” ….il web non più appannaggio dei grandi marchi, ma un intrico di fili, di pensieri, di impronte, che parlano dell’unicità di chi scrive e pubblica. Un contributo stimolante per vedere le cose in modo nuovo e non banale. Rispondi Paola Cinti Maggio 3, 2016 Grazie Antonio, in questo articolo c’è un’idea di futuro, o meglio due possibili futuri. Nel primo, un generale appiattimento della comunicazione con i social come Facebook che la fanno da padrona facendo leva sulla mancanza di concorrenti e sugli algoritmi, che via via ci sezioneranno i parti sempre più piccole, nel tentativo di vendere ogni più piccola informazione ai grandi brand. Dall’altra la capacità di migliorare qualitativamente la nostra comunicazione, usando social come Facebook invece di farci usare, puntando sulla diversità… che è un patrimonio potenziale di ognuno di noi. Rispondi Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito
Antonio Maggio 3, 2016 ….alcune parole dell’articolo con un suono particolarmente armonico e potente insieme…. “linee curve, distanze precise, cicatrici. ….la nostra comunicazione sul web come un’impronta, un’impronta digitale. …”di più, autoritratti, ritratti umani” ….il web non più appannaggio dei grandi marchi, ma un intrico di fili, di pensieri, di impronte, che parlano dell’unicità di chi scrive e pubblica. Un contributo stimolante per vedere le cose in modo nuovo e non banale. Rispondi
Paola Cinti Maggio 3, 2016 Grazie Antonio, in questo articolo c’è un’idea di futuro, o meglio due possibili futuri. Nel primo, un generale appiattimento della comunicazione con i social come Facebook che la fanno da padrona facendo leva sulla mancanza di concorrenti e sugli algoritmi, che via via ci sezioneranno i parti sempre più piccole, nel tentativo di vendere ogni più piccola informazione ai grandi brand. Dall’altra la capacità di migliorare qualitativamente la nostra comunicazione, usando social come Facebook invece di farci usare, puntando sulla diversità… che è un patrimonio potenziale di ognuno di noi. Rispondi