Ken Parker è un personaggio cult dei fumetti western nato nel 1974 dalla mano di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, e pubblicato per la prima volta nel 1977. Il primo dell’anno era finito Carosello e forse con lui un’Italia più genuina, ma non ce ne rendevamo conto. A marzo il Parlamento in seduta comune aveva votato il rinvio a giudizio degli ex ministri Luigi Gui e Mario Tanassi per corruzione aggravata a danno dello Stato (scandalo Lockheed). Era la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, ma la corruzione da quel giorno, nonostante le molte aspettative, non si è più fermata. I primi di aprile viene rapito Guido De Martino, figlio di Francesco De Martino, ex segretario del Partito Socialista Italiano e candidato alla presidenza della repubblica. Sarà rilasciato a metà maggio, ma la dinamica del rapimento non sarà mai chiarita, mentre fu subito chiaro che la vita politica del padre era finita. Sempre a maggio il Partito Radicale organizza un sit-in Piazza Navona per celebrare l’anniversario del referendum sul divorzio, nonostante il divieto di manifestare imposto dal Ministro dell’Interno Cossiga dopo la morte di un agente. La polizia interviene sparando colpi di pistola e su Ponte Garibaldi muore la studentessa Giorgiana Masi. A giugno le Brigate Rosse sparano alle gambe a Montanelli e replicano a novembre con il democristiano Publio Fiori, ma alzano il tiro sparando quattro colpi di pistola contro il vicedirettore de “La Stampa” Carlo Casalegno che, ferito a morte, dopo qualche giorno perirà. Questo era il clima politico e sociale in cui ci dibattevamo quando, nell’estate del 1977 e precisamente a giugno ebbe inizio la saga. Era uscito, edito da Cepim, il primo numero di Ken Parker (vedi Wikipedia) dal titolo: Lungo Fucile (l’anno prima mi ero finalmente laureato in sociologia, stavo per finire la naia e non avevo ancora compiuto 25 anni). Lungo fucile (1977) Appassionato di fumetti come ero e sono, mi colpì subito quel personaggio ancora non ben delineato, con una barba incolta. Certamente una stranezza per gli eroi dei fumetti western e non; infatti a metà del secondo numero i suoi creatori, l’autore Giancarlo Berardi e il suo disegnatore Ivo Milazzo lo fanno rasare, oggi sappiamo, sotto la spinta dell’editore Sergio Bonelli (grande e indiscussa figura del fumetto italiano e internazionale, editore anche di Tex, Zagor, Mister No e tanti altri). In realtà la coppia di autori avevano creato già nel 1974 il personaggio, ma solo a giugno del ’77 iniziò la pubblicazione della serie. Quel primo albo mi colpì anche perché si presentò con una novità assoluta relativa alla copertina, il cui disegno – realizzato ad acquerello – si estendeva sul dorso e in quarta e così tutti i numeri a seguire. I disegni mi apparirono, subito, particolari e originali anche nelle inquadrature che sembravano quelle di un film. Col tempo scoprì anche la bellezza dei flashback con l’ausilio di un altro artista come Giorgio Trevisan, che interrompeva l’originale rappresentazione. In realtà molti furono i disegnatori e coautori che si unirono ai due creatori tutti però senza alterare il profilo psicologico del personaggio. Eppure inizialmente appariva come una classica storia western dove il filo conduttore sembrava la vendetta; infatti Ken diviene scout dell’esercito per scoprire gli assassini di suo fratello, ma già nel primo numero – offrendosi di curare una giovane squaw -, da subito dimostra tutta la sua umanità entrando in un villaggio indiano i cui abitanti sono ridotti allo stremo e affamati. Non porta la colt al suo fianco, ma le sue armi sono un lungo fucile e un coltello, usate unicamente per cacciare o per difendersi. Ken Parker, Lungo fucile o Chemako (colui che non ricorda), come lo chiameranno i suoi amici pellerossa, pagina dopo pagina si dimostra un antieroe che ti conquista. La sua forza sono la sua semplicità e la sua naturalezza, cerca sempre di essere giusto e onesto con tutti e con se stesso, ma in un modo molto umano conscio dei suoi limiti, delle sue debolezze; come tutti commette errori, sempre molto reale nelle situazioni più difficili o impossibili. La narrazione avventurosa e drammatica, ambientata in un arco temporale che va dal 1868 al 1908, si alterna a momenti di umor e di ironia. Cento anni dopo per noi che vivevamo le stesse contraddizioni e le stesse aspirazioni se pur in epoche e luoghi diversi, era impossibile non identificarsi in lui e invidiare la sua tempra e sua coerenza in quegli anni bui che stavamo vivendo, ci dava forza e speranza in un modo diverso. Non c’è storia in cui un tema, reale e ancora attuale, non sia stato in qualche modo trattato: il razzismo, la tolleranza e il rispetto per il diverso (pellerossa, neri o omosessuali), l’importanza dell’istruzione e della cultura, l’aspirazione ad una società più giusta e ad una pacifica convivenza civile tra gli uomini, la pena di morte, la droga, gli affetti familiari, l’amicizia, la solidarietà umana, il terrorismo, la prostituzione, la religione, la morale e altro ancora. Sicuramente gli autori hanno saputo riversare nel personaggio tutte le tensioni sociali e politiche nate col ’68 e riesplose con le contestazioni degli anni successivi. Per noi era e resterà un esempio da seguire: un uomo vero (veramente umano) a cui ognuno di noi almeno una volta nella vita avrebbe voluto assomigliare. Le storie di Ken si svolgono in un passato remoto in un intreccio di personaggi anche secondari ma sempre di un certo spessore, a volte ricchi di citazioni di eroi dei fumetti o di attori cinematografici: come non ricordare la Marilyn Monroe di “Un principe per Norma” in veste di attrice e ballerina in una compagnia itinerante. Ci sono infinite altre situazioni dove, non di rado, Ken è un comprimario. Penso all’albo Adah, la storia di una schiava nera e della sua liberazione; a Lily e il cacciatore dove il personaggio è una piccolissima e incredibile cagnetta; e ancora alla mini saga di Pat O’Shane dove il vero personaggio è un’adolescente determinata e indipendente, dai capelli rossi con tutte le sue fantasie, le sue aspettative di vita (La ballata di Pat O’Shane, La città calda, Ranchero e Uomini, bestie ed eroi); infine come non ricordare le quattro storie senza didascalie del Respiro e il sogno (Cuccioli, Soleado, La luna delle magnolie in fiore e Pallide ombre) dove sotto il tratto, o meglio gli acquarelli, di Ivo Milazzo il vero personaggio è la natura in un incanto di luce, ombre e colori. Chi è allora Lungo Fucile? Un uomo tra Il Popolo degli Uomini, un uomo che sa acculturarsi a partire fin dall’albo Milady, che attraverserà nelle sue storie in lungo e in largo un paese sempre più intriso di un nascente progresso e di una trasformazione sociale ed economica. Sarà disgustato da una certa politica, stufo della guerra, ma soprattutto desideroso di libertà e di confrontarsi con se stesso, rispettoso della natura e dell’altro di qualunque colore e razza. Vagamente ispirato per le fattezze a quelle di Jeremiah Johnson (Robert Redford) di Corvo rosso non avrai il mio scalpo, si sarebbe dovuto muovere in ambientazione puramente western anche se un po’ crepuscolare, o comunque filtrata attraverso una sensibilità moderna, dato che il west – in qualsiasi forma narrato -, rimane sempre e solo una convenzione che, attraverso la metafora del passato, ci parla del presente. Di fatto questa ambientazione risulterà essere quanto mai limitativa e restrittiva per come evolverà la narrazione e il personaggio che errabondo viaggerà tra le onde dell’oceano a caccia di balene, vivrà tra gli inuit dell’Alaska, si muoverà tra i monti innevati e nelle verdi praterie, nel deserto dell’Arizona o nel territorio Nuovo Mexico, attraverserà l’America dai confini del Canada fino al Mexico; si unirà ad un’indiana e avrà un figlio adottivo Theba che prenderà il nome di Teddy Parker; sarà anche attore, sceriffo, guida, agente della National agency of investigation e narratore di storie; entrerà nel parlamento a Washington, vedrà San Francisco e Boston; nel tempo verrà più volte arrestato anche se innocente, poi verrà condannato ai lavori forzati perché durante uno sciopero è costretto a uccidere un poliziotto per salvare una bambina; sognerà e sarà… sogno. Fin dove arriva il mattino (2015) In realtà è un capolavoro dell’arte del fumetto, della comunicazione e della narrazione, grazie al talento e alla bravura dei suoi creatori e di altri artisti che nel tempo hanno collaborato alla sua realizzazione. Lungo Fucile ha fatto sognare e innamorare molti della mia generazione e non solo. Infatti ci ha trasportato per venti anni fino alle soglie del 2000, con alterne e variegate vicende editoriali. La serie originale finirà a maggio del 1984, ma proseguirà a pizzichi e bocconi su due strepitose riviste di fumetti fino al 1988: Orient Express e Comit Art. Si fermerà – per noi suoi estimatori -, per quattro lunghissimi anni per ritornare dal 1992 al 1998 stampato dalla casa editrice che porta il suo nome (Parker Editore), dietro la quale sostanzialmente ci sono i suoi autori. Nonostante questi continui cambi di editore e di formato, con sospensione delle pubblicazioni e ristampe, edizioni tutte a colori dei primi numeri, la serie non sarà mai abbandonata dai suoi ammiratori, fino all’ultima ristampa completa e revisionata edita dalla Mondadori Comics, dove con l’ultimo episodio della saga Fin dove arriva il mattino, scritto dopo diciassette anni da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, forse si è conclusa per sempre nell’aprile del 2015 la pubblicazione delle sue storie. Siamo ai giorni nostri: l’Europa dei popoli non c’è, ma c’è quella delle banche e dei poteri forti, dei muri e dei respingimenti, il mediterraneo è una fossa comune; c’è il Job Act, la buona scuola, la seconda repubblica è peggio della prima ovvero si può tranquillamente aggredire lo Stato sociale, la scuola, la sanità, sulla base unicamente di un consenso senza alternative imposto dall’alto, con leggi elettorali incostituzionali; abbiamo un parlamento sbilanciato e non rappresentativo, non si vota per le politiche da anni, quando si è chiamati alle urne c’è la crescita dell’astensionismo, non si vota per convinzione per qualcuno, ma contro qualcuno, solo per paura del peggio; Berlusconi sarà anche uscito o quasi dalla scena politica, ma è ben presente nel l’anima di molti; la nostra mai attuata Costituzione è sotto attacco; l’ambiente è l’ultimo dei problemi; la corruzione è stratificata dovunque; il terrorismo integralista islamico ha colpito la Francia, Il Belgio, la Tunisia, attraverso le seconde e terze generazioni; Isis ha preso potere in Iraq e Siria e fa proseliti nei nostri giovani alla ricerca di valori; la mafia e la camorra si sono evolute fanno parte del sistema; la politica dei mercati è una sola, non più cittadini ma consumatori; i mercanti d’armi non hanno mai smesso di fare affari; ecc.. Uscito di prigione grazie a un indulto presidenziale, Ken ritrova alcuni suoi ex compagni di galera e si unisce a loro dopo che aver scoperto che quest’ultimi hanno ucciso un uomo e rapito sua moglie e sua figlia, nel tentativo disperato di salvarle. Non è più atletico come una volta, perché i vent’anni trascorsi ai lavori forzati, cercando di resistere a ogni genere di prevaricazione, hanno lasciato il segno. Un sessantacinquenne, stanco, disilluso, senza alternative quello che ha colto di sorpresa tutti noi suoi ammiratori vecchi e nuovi nell’ultima storia ambientata in un freddo e nevoso Montana. Ma in fondo chi della sua e mia generazione non lo è? Nel bene e nel male il suo personaggio, resta una metafora; ha sempre rappresentato un’analogia con la nostra realtà contemporanea, pur non rinnegando mai la sua umanità fino all’ultimo; come tutti noi ha avuto un passato e ha lottato per i suoi principi e i valori in cui crede, ma la vita di tutti i giorni l’ha cambiato, perché la lotta per l’esistenza ti lascia ferite profonde, ti logora, ti spegne lentamente o con violenza. Il suo creatore letterario è più realista del re e quindi: Mi è sempre piaciuta la luce del mattino, fa dire a Ken morente mentre strige la mano a Olivia, una donna che simboleggia la sconfitta di una generazione che non è riuscita a proteggere i propri figli, ma ha finito con rovinarli, nel caso specifico è costretta a uccidere la propria sventata figlia. Eppure ci dobbiamo attaccare a questa ultima frase come unica immagine di speranza in una storia drammatica che non ne lascia nessuna: quella di un’alba, di un’eventuale nuova vita, di un nuovo giorno che non potrà non seguire alla notte della Repubblica e del neo liberismo (apparentemente vincente), perché ci sono anche i figli come Teddy, di cui abbiamo perso le tracce, ma che vogliamo sperare siano capaci di conseguire gli obiettivi esistenziali ai quali Ken, suo malgrado, ha dovuto rinunciare. 7 Risposte Roberto Rizzardi Giugno 1, 2016 Quel personaggio e quella storia riecheggiavano le istanze di una stagione piena di fermento e di cui, oggi, non rimangono che lievi tracce, come anche tu rilevi nella descrizione dell’ultimo atto di quella narrazione. Traspare dalle tue parole tutto l’amore per il personaggio e per la peculiare forma narrativa che lo racconta. Quella forma, ricordo, era a quei tempi demonizzata quale forma corrotta e corruttiva della tradizione letteraria, e anche oggi fatica a mantenere stabilmente il posto che le compete. Un personaggio verosimile, dolentemente umano, coerente e portatore di valori. Cosa chiedere di più? Rispondi sandro romagnoli Giugno 3, 2016 Confesso che, colpevolmente e nonostante la mia passione per i comics in generale, non conoscevo Ken Parker. A parziale giustificazione posso addurre il fatto che nel ’77 (anno di inizio della pubblicazione) ero appena arrivato a Bologna; e l’Università di Bologna, e quello che le girava intorno in quel periodo, costituivano una realtà talmente avvolgente e travolgente da non lasciare il tempo di prendere in considerazione altro. Dalla descrizione appassionata e competente di Gianfranco emerge una figura estremamente familiare ad alcuni della nostra generazione; quello che (in parte) siamo stati o avremmo voluto essere e, un po’, quello che siamo oggi “sessantenni stanchi, disillusi e, soprattutto, non più atletici come una volta” 😉 ma che non rinnegano la propria storia e i propri valori anche se vedono la meta ogni giorno un po’ più lontana. Rispondi Gianfranco Personé Giugno 3, 2016 In effetti Roberto i fumetti sono stati visti come un sottoprodotto culturale se non addirittura diseducativi, ma questo in genere era ed è affermato da chi quella forma narrativa e comunicativa non ha mai pienamente frequentato. I giovani di oggi peraltro sono presi dal digitale e non apprezzano molto i disegni con le nuvole di fumo. Invece personaggi Ken Parker, Corto Maltese, Julia (solo per citarne alcuni) sono di un tale spessore che non avere preso mai una loro storia in mano ritengo si una colpa grave. 🙂 Ma veniamo al punto dolente al quale l’amico Sandro ci riporta. Si effettivamente noi tre apparteniamo a una generazione stanca, disillusa, con poche frecce al proprio arco, “analogica” per nascita anche se, stando qui dentro, non disprezza il “digitale”, ma è sicuramente non più atletica come una volta. 😉 Grazie ad entrambi. Rispondi Paola Cinti Giugno 4, 2016 Un atteggiamento quello nei confronti dei fumetti completamente diverso da quello della Francia che valorizza e sperimenta molto più di noi, e che ha un mercato doppio di quello italiano. Sicuramente la nostra generazione deve confrontarsi con una profonda delusione, ma quelle dopo, fino alle più recenti, stanno crescendo senza speranze e non mi sembra sia da preferire. Tra l’altro penso che personaggi come Corto o Ken Parker potrebbero essere fonte d’ispirazione proprio per i più giovani. Rispondi Gianfranco Personé Giugno 4, 2016 I francesi sono presi in giro da noi italiani perché pur avendo inventato il bidet non lo usano o per come portano a casa il pane appena comprato, la famosa baguette. In realtà restano avanti a noi in tante cose non ultima la loro reazione alla riforma del lavoro. Per i giovani è un discorso a parte, la speranza è una merce preziosa, però la si può trovare dentro un fumetto, un libro o un film, ma deve essere insegnato loro a ricercarla nel cuore e nella mente prima che nelle cose perché come dice George Chakiris: “Per quanto oscuro sia il presente, l’amore e la speranza sono sempre possibili.” Alessandro Settembre 30, 2016 Metà degli anni di chi scrive (beh più o meno) ma un simile approccio ai valori, mi fanno pensare che forse Ken Parker potrebbe essere una buona lettura anche ora…e che in effetti ancora oggi c’è bisogno di eroi o forse più di antieroi. Rispondi Gianfranco Personé Settembre 30, 2016 Hai perfettamente ragione Alessandro… buona lettura. 😉 Rispondi Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito
Roberto Rizzardi Giugno 1, 2016 Quel personaggio e quella storia riecheggiavano le istanze di una stagione piena di fermento e di cui, oggi, non rimangono che lievi tracce, come anche tu rilevi nella descrizione dell’ultimo atto di quella narrazione. Traspare dalle tue parole tutto l’amore per il personaggio e per la peculiare forma narrativa che lo racconta. Quella forma, ricordo, era a quei tempi demonizzata quale forma corrotta e corruttiva della tradizione letteraria, e anche oggi fatica a mantenere stabilmente il posto che le compete. Un personaggio verosimile, dolentemente umano, coerente e portatore di valori. Cosa chiedere di più? Rispondi
sandro romagnoli Giugno 3, 2016 Confesso che, colpevolmente e nonostante la mia passione per i comics in generale, non conoscevo Ken Parker. A parziale giustificazione posso addurre il fatto che nel ’77 (anno di inizio della pubblicazione) ero appena arrivato a Bologna; e l’Università di Bologna, e quello che le girava intorno in quel periodo, costituivano una realtà talmente avvolgente e travolgente da non lasciare il tempo di prendere in considerazione altro. Dalla descrizione appassionata e competente di Gianfranco emerge una figura estremamente familiare ad alcuni della nostra generazione; quello che (in parte) siamo stati o avremmo voluto essere e, un po’, quello che siamo oggi “sessantenni stanchi, disillusi e, soprattutto, non più atletici come una volta” 😉 ma che non rinnegano la propria storia e i propri valori anche se vedono la meta ogni giorno un po’ più lontana. Rispondi
Gianfranco Personé Giugno 3, 2016 In effetti Roberto i fumetti sono stati visti come un sottoprodotto culturale se non addirittura diseducativi, ma questo in genere era ed è affermato da chi quella forma narrativa e comunicativa non ha mai pienamente frequentato. I giovani di oggi peraltro sono presi dal digitale e non apprezzano molto i disegni con le nuvole di fumo. Invece personaggi Ken Parker, Corto Maltese, Julia (solo per citarne alcuni) sono di un tale spessore che non avere preso mai una loro storia in mano ritengo si una colpa grave. 🙂 Ma veniamo al punto dolente al quale l’amico Sandro ci riporta. Si effettivamente noi tre apparteniamo a una generazione stanca, disillusa, con poche frecce al proprio arco, “analogica” per nascita anche se, stando qui dentro, non disprezza il “digitale”, ma è sicuramente non più atletica come una volta. 😉 Grazie ad entrambi. Rispondi
Paola Cinti Giugno 4, 2016 Un atteggiamento quello nei confronti dei fumetti completamente diverso da quello della Francia che valorizza e sperimenta molto più di noi, e che ha un mercato doppio di quello italiano. Sicuramente la nostra generazione deve confrontarsi con una profonda delusione, ma quelle dopo, fino alle più recenti, stanno crescendo senza speranze e non mi sembra sia da preferire. Tra l’altro penso che personaggi come Corto o Ken Parker potrebbero essere fonte d’ispirazione proprio per i più giovani. Rispondi
Gianfranco Personé Giugno 4, 2016 I francesi sono presi in giro da noi italiani perché pur avendo inventato il bidet non lo usano o per come portano a casa il pane appena comprato, la famosa baguette. In realtà restano avanti a noi in tante cose non ultima la loro reazione alla riforma del lavoro. Per i giovani è un discorso a parte, la speranza è una merce preziosa, però la si può trovare dentro un fumetto, un libro o un film, ma deve essere insegnato loro a ricercarla nel cuore e nella mente prima che nelle cose perché come dice George Chakiris: “Per quanto oscuro sia il presente, l’amore e la speranza sono sempre possibili.”
Alessandro Settembre 30, 2016 Metà degli anni di chi scrive (beh più o meno) ma un simile approccio ai valori, mi fanno pensare che forse Ken Parker potrebbe essere una buona lettura anche ora…e che in effetti ancora oggi c’è bisogno di eroi o forse più di antieroi. Rispondi
Gianfranco Personé Settembre 30, 2016 Hai perfettamente ragione Alessandro… buona lettura. 😉 Rispondi